Giovedì prossimo, in regione Lazio, si deciderà sugli ammortizzatori sociali in deroga (cassa integrazione e mobilità) in vista della scadenza prevista per il 30 giugno. Una decisione davvero importante se si considera il numero di lavoratori coinvolti. Nel Lazio nel primo periodo del 2013 (gennaio-aprile) l'ammortizzatore ha riguardato circa 27.000 lavoratori e 2.000 imprese. Nella provincia di Latina i lavoratori coinvolti sono stati circa 3.500 distribuiti su 250 attività. Per la mobilità in deroga i lavoratori coinvolti nel Lazio sono stati, invece, circa 4.000 di cui circa 1.000 solo a Latina. «Nel 2012 - spiega Maria Antonietta Vicaro, segretario provinciale Ugl Latina - i finanziamenti a copertura della deroga sono stati di 235 milioni e per il 2013 la regione Lazio ha avuto una pesante riduzione. Dopo un primo finanziamento di 38 milioni si resta ancora in attesa di ulteriori 19 milioni che dovrebbero essere integrati con la ripartizione degli attuali 990 milioni annunciati nell'ambito della conferenza Stato-Regione». Nel frattempo nella provincia pontina gli ultimi dati forniti nella recente giornata dell’Economia di Unioncamere parlano di una situazione drammatica: tasso di disoccupazione al 13,9% nel 2012 a fronte del 9,8% del 2011 che vuol dire 17.000 disoccupati, 10.000 persone in più in cerca di impiego, 33.000 persone inoccupate. Nel settore industria non ci sono segnali di ripresa anzi, nel chimico farmaceutico e nel metalmeccanico, le assunzioni si limitano ad un positivo 8% di assunzioni a tempo determinato da cui però bisogna decurtare le uscite per mobilità e pensionamenti (- 5%). Nel commercio, invece, si comincia a registrare il dato negativo della recessione con un -10% di fatturato nei primi 4 mesi del 2013. Aumentano inoltre i procedimenti concorsuali delle piccole e medie imprese che falliscono. «Occorrono politiche di più ampio raggio - conclude la sindacalista - siamo già nel pieno della “terza rivoluzione industriale” preannunciata dall’economista Rifkin. La seconda rivoluzione industriale è durata 200 anni ed ora i suoi paradigmi non sono più funzionali: ci sono le impellenti questioni ambientali che ci chiamano a cambiamenti profondi e c'è anche la necessità di nuove procedure di governance, di una nuova gestione dei processi economici e produttivi a cui il Governo di un paese sano dovrebbe mettere mano. La crisi che stiamo attraversando, nel momento in cui ne usciremo, sarà in grado di aprirci a nuovi scenari che devono però vederci pronti alle nuove politiche di investimenti verso i nuovi settori: energie rinnovabili, centrali energetiche autogestite nelle unità abitative, fonti di energie alternative. In più non devono essere sottovalutati né la valorizzazione della qualità del nostro made in Italy, né il patrimonio culturale e turistico».
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